“Responsabilità e solidarietà dell’uomo verso il mondo che gli è stato affidato da Dio” è un argomento dibattuto ovunque e non solo nella Chiesa Cattolica. La stessa Enciclica “Laudato Sì” di Papa Francesco declina questo tema come hanno fatto d’altronde tutti i suoi predecessori in particolar modo da Paolo VI in avanti ed anche e bene la Chiesa Ortodossa.
Nella sua “Laudato Sì” Papa Francesco chiama a testimone San Francesco d’Assisi, patrono mondiale dell’ecologia, nato ad Assisi nel 1181 o 1182 e morto ad Assisi il 3 ottobre 1226. Aveva 44 anni. Mi permetto di fare la stessa cosa stasera, tentando di analizzare la spiritualità ed il pensiero del Poverello di Assisi per cercare di capire oggi, nel 2020 quasi, a 8 secoli circa dalla sua morte, cosa può questo amato Santo suggerirci, in questa scelerata era post-moderna, in questo paradigma, in questo modello di civiltà iper-consumistico e sfruttatore, sul perché dobbiamo responsabilizzarci ed esprimere solidarietà verso il nostro ambiente, il pianeta, il creato e quindi l’universo tutto.
Al tempo di Francesco, non esisteva altro che la natura selvaggia, pressoché integra, dove si ubicava una miseria terribile della stragrande maggioranza delle persone che, nella mentalità dell’epoca, valevano meno di una pecora o di una capra da latte. Non esisteva l’elettricità, quindi non internet, telefonini, televisioni, lavatrici, lavastoviglie, asciugacapelli e detersivi ed il popolo puzzava ed i ricchi signori dell’epoca agivano sulle persone, specie le più povere, a piacimento e spesso con disprezzo della loro condizione. E per la stessa inconsapevolezza d’animo e di spirito i potenti già sfruttavano e devastavano, ripeto, l’uomo ed il suo ambiente, con tutti i mezzi di cui disponevano allora. Nulla di modificato nemmeno nel 2019.
Ed allora mi pongo una domanda: in questo scenario, ripeto, come il pensiero di San Francesco, che si erge ancora alto come sorella stella, la più luminosa, nel cielo della spiritualità, può aiutarci ad essere più responsabili, prudenti, coscienti, prossimi al creato tutto ad iniziare dal nostro ambiente dove viviamo? Cosa può insegnarci il Serafico Padre oggi qui, adesso ed ora?
Francesco, dopo una vita ricca di soldi e di risorse di famiglia, vissuta in maniera dissoluta come tutti i giovani ricchi dell’epoca, ancora molto giovane, per volere di Dio che aveva certamente visto in lui qualcosa di speciale per l’umanità, fu colpito da un vero e proprio “shock spirituale” nel colloquio con la croce di S. Damiano. Le parole i sussurri dell’Infinito Amore che giunsero a Francesco gli aprirono l’animo verso intuizioni impensabili per quanto concerne il significato del Creato, del Cosmo, dell’Universo infinito e verso ciò che oggi chiamiamo “ecologia”, termine che ci indica la relazione degli organismi viventi con l’ambiente in cui vivono, e quindi anche LA RELAZIONE DELL’UOMO, IL LEGAME DELL’UOMO, CON TUTTA LA VITA, MA ANCHE CON IL RESTO DELL’AMBIENTE, CIOE’ DELLA MATERIA INORGANICA CHE ALIMENTA LA VITA, IN CUI ESSO VIVE.
Per avvicinarci al pensiero di San Francesco, verso il Creato tutto, Intanto, chiediamoci di cosa si servì per entrare in relazione con l’ambiente naturale, specialmente con gli animali e farsi riconoscere da essi quasi come primi sui ambasciatori verso l’infinito e Dio stesso. San Francesco non si servì del Computer, di Internet, il pensiero di filosofi o teologi o della istruzione scolastica come fece Sant’Antonio. FRANCESCO FECE STRETTO RIFERIMENTO SOLO AL VANGELO DI GESU’ CRISTO ED ALLA SUA PERSONALE FERVIDA IMMAGINAZIONE.
Servirsi della immaginazione, strumento altissimo donatoci dalla vita, è una opportunità che anche oggi dobbiamo rivalutare, tanto più che scienza e tecnica, spesso a servizio e solidali solo con il potere e la ricchezza dell’uomo, e lo sappiamo bene, presenterebbero il creato più COME OGGETTO DELLE LORO MIRE E NON COME UN INSIEME ARMONICO DI SOGGETTI E COSE DA CONOSCERE, SALVAGUARDARE E PROMUOVERE E CON I QUALI CAMMINARE INSIEME A PARI DIGNITA’.
Scienza e tecnica non hanno mai pensato di chiamare il Sole “fratello” e la Luna “sorella”, ma hanno avuto da sempre una visione opportunistica e speculativa della relazione con le cose, ma anche con le persone, con la natura, con la mondialità, con il Creato tutto.
L’essere umano in questo nostro paradigma iper-consumistico di civiltà, non è assolutamente animato dal pensiero e dalla spiritualità di San Francesco d’Assisi che si ritiene invece un tutt’uno con il Creato. L’uomo invece si ritiene sempre più ancora oggi al di sopra delle cose delle quali dispone secondo propria logica e convenienza, per proprio “uso e consumo”. Non si ritiene mai come San Francesco uno che si trova “insieme” con le cose, che “respira e cammina” con esse, non si sente membro ma il padrone assoluto del Creato. Non si considera un tutto inscindibile dal suo ambiente nelle suo componenti organiche ed inorganiche, che vive per esso, con esso ed in esso, ripeto con forza, in una appartenenza ed una interdipendenza reciproche, come membro di una armonia universale. E’ proprio questo sentirsi avulso, al di sopra di questo universo infinito in cui risiede il meccanismo fondamentale della crisi attuale della nostra civiltà.
San Francesco occorre al mondo oggi per andare più in là delle palizzate dei nostri principi speculativi sul Creato che ci tengono in ostaggio. Il Poverello d’Assisi ci porta più in là di ogni prigione, più in là di ogni muro divisorio, di ogni pulsione speculativa sull’ambiente in quanto è animato profondamente dal pensiero stesso di Gesù Cristo che San Francesco ha voluto racchiudere come verità nel suo cuore con forte determinazione per tutta la sua breve e santa vita. Un santo quindi precursore di quella nuova umanità, responsabile e solidale con il Creato tutto, di quel regno che Gesù è venuto ad inaugurare 2000 anni fa, dove avrà stabile dimora la giustizia di Dio nei confronti dell’uomo e dell’Universo tutto.
VEDIAMO QUESTO PENSIERO DI FRANCESCO…PIU’ DA VICINO
Esploriamo un po’, o almeno proviamoci, il legame di San Francesco con gli animali, cercando di conoscere meglio anche i suoi modi, i suoi comportamenti, il suo atteggiamento responsabile, fraterno e solidale con loro. Attingo al pensiero del Terziario Francescano Felice Moretti, studioso di storia medievale, classe 1947, spentosi pochi hanno fa, lasciandoci testimonianze e ricerche non intrise di interventi altri se non quelli derivanti da documentazioni precise ed anche di qualche testimonianza dalle due vita di Francesco scritte da Tommaso da Celano e quella di San Bonaventura.
San Francesco esaltava il mondo inanimato, il sole, la luna, le stelle, l’acqua, il fuoco, per la gloria di Dio Creatore. Invece in tutti gli esseri viventi, dai moscerini agli uccelli all’uomo, agli animali domestici e tutti gli altri, Francesco sente la sofferenza del vivere e se la fa propria per poi riscattarla attraverso quelle azioni naturali e spontanee, pregne di innocenza, di ingenuità, di spontaneità (più che di cultura biblica o teologica), di tenerezza, di profonda intimità, che si traducevano in modo giocoso nelle sue tenerissime poetiche espressioni del pensiero e dell’azione. Per creare una relazione con il mondo animale, ripeto, specie gli uccelli, il giullare di Dio ricorreva al gioco, spesso “umanizzando” gli animali o … “animalizzando” se stesso pur di creare una consapevole, dolce e fraterna relazione con essi. L’aspetto ludico, l’aspetto del gioco e quello spirituale si compenetravamo in ogni sua relazione con tutte le Creature.
E’ proprio il rapporto di affetto, simpatia e di vera complicità fra San Francesco e gli animali a suscitare interesse, perché parte da qui il senso del gioco che costituisce la componente essenziale della personalità del santo. Francesco è per prima cosa un poeta e sa giocare con le parole; è un attore e gioca con la sua facilità della messa in gioco; è cavaliere e gioca con le armi; è DIACONO e improvvisa un gioco liturgico della Natività. Questa tensione interiore si combinava in un tutt’uno con quella esteriore che influì tantissimo sulla predicazione francescana esercitando trasformazioni impensabili nei decenni precedenti la conversione del Poverello. Solo l’intensità della fede può infatti giustificare la forma esteriore della sua predicazione, altrimenti interpretabile come degenerazione del pensiero e della vita religiosa o, tuttalpiù, come immagini di ingenua poesia.
Nel suo consumarsi nell’amore, San Francesco ha giocato con tutti gli elementi e componenti del creato. Con la sua immaginazione di poetica cavalleria ha corteggiato il dolore, la povertà e la Croce ed ha giocato con i misteri gaudiosi e dolorosi di Cristo; ha corteggiato come un amante Madonna Povertà; ha goduto dello spettacolo del creato giocando con le sue forze e gioiendo con esse, “schiudendo alla spiritualità cristiana la cultura laica cavalleresca dei trovatori e la cultura laica popolare del folclore paesano con i suoi animali, il suo universo naturale”.
Con i suoi modi cavallereschi il Poverello d’Assisi ha spalancato le porte in cui erano prima serrate le “sclerotiche” sensibilità infarcite di accidia e di tristezza, monopolio di monaci incapaci di respirare i profumi della natura e della vita, chiusi com’erano nella cappa dei loro pianti masochisti a passare in rassegna e descrivere i terrori dell’inferno al terrorizzato e denutrito popolo dei fedeli. E per di più, per evitare che questo popolo di fedeli cadesse vittima delle insidie del diavolo i monaci raccomandavano ancora digiuni ai loro corpi già sfibrati dalla fame, aprendo ad essi la strada maestra verso la follia. Tra Francesco ed i monaci era l’obbedienza che faceva la differenza: a Francesco obbedivano gli animali, agli animali obbedivano i monaci. Con Francesco ci troviamo, rispetto ai monaci dell’epoca, in una dimensione diametralmente opposta., fatta di colori, di luce, di vita e di gioco con il creato ed in special modo con il mondo animale: “Tutta la figura del Poverello d’Assisi è piena di figure e di fattori puramente ludici che gli danno il suo aspetto più bello e attraente”.
E’ bene precisare che il rapporto ludico di Francesco con gli animali non è privilegiato rispetto a tutto il resto del creato, tuttalpiù lo si può circoscrivere come un tema specifico con una sua autonomia. Mentre il mondo inanimato, il sole, le stelle. Il fuoco, l’acqua vanno esaltati a gloria di Dio, nell’uomo e in tutti gli esseri viventi Francesco sente la sofferenza e se la fa propria per poi riscattarla attraverso quelle azioni naturali e spontanee che si traducono in modo giocoso nelle carezze del pensiero e dell’azione.
Francesco ripeto, nutre un amore spontaneo, naturale verso il creato, la natura, i fiori ed in particolare gli animali. Un amore che deriva dall’ispirazione e non dalla logica o dalla razionalità. Il suo è un rapporto nuovo dove l’animale non è più un…giocattolo, uno strumento passivo di gioco, soggetto al nostro arbitrio, alla nostra volontà, ai nostri umori o interessi, ma assume un ruolo attivo e paritetico a quello dell’uomo. La sa sensibilità verso l natura rispetto alla nostra ha una profondità abissale, assolutamente altra dalla nostra superficialità. L’uomo e l’animale partecipano insieme all’armonia della creazione con reciproco diletto. Francesco arriva a ciò che nessuno mai aveva provato a fare prima di lui: gioca e prega con gli animali e con il creato tutto. San Bonaventura scrive: “Francesco diceva che i fratelli uccelli stanno lodando il loro creatore, perciò andiamo in mezzo a loro a recitare le lodi del Signore e le ore canoniche”. Richerio di Sens racconta che Francesco “ammoniva gli uccelli perché almeno loro, che erano creature senza ragione, si guardassero dal trascurare l’ascolto della parola di Dio, dal momento che gli uomini, dotati di intelligenza e di discernimento l’avessero a noia…/// … E continuò a lungo a discutere con loro della parola di Dio, come se avesse davanti creature ragionevoli”.
San Francesco sa bene che anche gli animali possono soffrire, ma possono essere anche capaci di vincere le sofferenze nella rassegnazione e persino nella gioia: “possono persino essere di esempio all’uomo di come si vinca il dolore e la sofferenza, di come si accetti la vita e la morte nelle cose belle e nelle cose brutte”. Per essi Francesco nutriva un rispetto straordinario “perché in loro sentiva, più ancora che nella realtà materiale dell’universo, l’azione creatrice, ad un tempo, di bellezza e di potenza di Dio”.
L’effluvio d’amore di San Francesco per gli animali e, in particolare per gli uccelli, veniva da essi percepito e contraccambiato con un rapporto confidenziale, colloquiale e giocoso. Ne è testimonianza l’episodio narrato nella “Legenda Perugina”, così come ce lo hanno trasmesso i suoi compagni che, soprattutto negli ultimi due anni di vita, furono a lui assiduamente vicini. Essi riferiscono del volo delle allodole sul tetto della casa in cui egli giaceva morente, mentre quelle si muovevano volando basse in circolo cantando, come a manifestare gratitudine al loro antico amico e compagno di giochi.
Il cantare in circolo delle allodole su Francesco morente non era da considerarsi un fatto eccezionale, ma direi ordinario nella sua eccezionalità o, se vogliamo, di eccezionalità ordinaria rapportata alla confidenziale familiarità di lunga data tra il santo e gli uccelli. Da questa particolare corrispondenza affettiva nasceva in lui il desiderio di voler parlare all’imperatore perché potesse ordinare che nessuno osasse fare del male alle allodole e che i reggitori delle città fossero tenuti, ogni anno, il giorno di Natale, ad obbligare tutti a dare frumento e grano agli uccelli ed alle allodole per festeggiare la nascita del Bambino Gesù; che in quella notte solenne fosse dato da mangiare al bue e all’asino e che tutti i poveri fossero saziati dai ricchi. A questo banchetto generale avrebbe dovuto partecipare ogni specie animale come ad un gioco fantastico scaturito dalla immaginazione che solo la profonda spiritualità del Poverello poteva e sapeva concepire: spiritualità che fu caratteristica della sua religiosità popolare e non teologica.
Quel gioco della mente e dello spirito ricordava a Francesco che l’allodola, come il religioso, ha il cappuccio e che anch’essa, come il religioso, va per la sua strada alla ricerca di qualcosa con cui nutrirsi, ed è umile perché si accontenta del chicco di grano beccato tra lo sterco degli animali. Da qui la creazione di un effetto giullaresco, connotato proprio dal cappuccio dell’allodola e dal suo volo cantato a lodare il Signore: “Soror lauda habet caputium sicut religiosi… Volando laudat Dominum, sicut boni religiosi despicientes terrena, quorum semper in celis est conversatio.”
E’ Tommaso da Celano ad evidenziare come questo rapporto confidenziale e colloquiale con gli animali sia scaturito proprio dal fatto che Francesco era “simplex gratia, non natura” e che gli animali presentissero quel dono di pietà e di amore verso essi stessi. Tant’è che alle sue parole di lode a Dio che ha creato gli uccelli nobili fra tutte le altre creature, proteggendoli e governandoli senza che essi se ne preoccupassero, quelli, nella famosa predica di Bevagna, si predisponessero all’ascolto di Francesco in atteggiamento giocoso. Così, esultando, com’è nella loro natura, cominciarono ad allungare il collo, a protendere le ali, ad aprire i loro beccucci, a fissarlo negli occhi; né dettero segno di inquietudine quando al suo passaggio il saio toccava le loro teste ed i loro piccoli corpi.
Nel segno di croce con cui Francesco licenzia le rondini a predica finita, si coglie l’aspetto ludico del gesto, come a voler significare la momentanea sospensione del gioco fra le parti e l’invito ai volatili di continuare a giocare fra loro nel cielo. La sorpresa del santo di essere ascoltato ed obbedito dalle creature del cielo si tramuta in entusiasmo che il suo spirito cavalleresco amplifica dismisura. Se gli uccelli di specie diverse, colombe, cornacchie e monachine l’ascoltavano e gli obbedivano, a maggior ragione l’avrebbero ascoltato gli uomini. Da questa fiducia nasceva e si sviluppava il suo spirito giocoso e cavalleresco che prorompeva dal suo petto come i garriti e gli strepiti delle rondini di Aviano.
Per concludere, quali spunti ci suggerisce San Francesco perché possiamo noi diventare più responsabili nei confronti del nostro ambiente dove viviamo, del nostro pianeta e del Creato tutto e solidali con la vita che lo anima?
- Nostro Fratello Francesco ha inaugurato una nuova alleanza con la Terra, recuperando proprio la dimensione del sacro, molto simile alla sacralità della famiglia trasposta nella famiglia cosmica ma che non comprende solo gli esseri viventi ma anche le componenti organiche ed inorganiche dell’universo. Il Creato che in Francesco si trasforma in un sacramento, uno scrigno di vita e di relazioni sacre, in uno spazio ed in un tempo di manifestazione dell’energia che pervade tutti gli esseri, animati ed inanimati, visibili e invisibili, in una occasione di rivelazione nel mistero che abita la totalità di tutte le cose.
- Egli ci indica di acquisire il concetti di Casa Comune con riferimento a tutto il Creato, a partire dal nostro Pianeta.
- Comprendere che in una Casa Comune, come in ogni nostra casa, abita una FAMIGLIA e siamo legati al tutto da un legame FRATERNO E FILIALE.
- Aiutare la vita nel creato a ristabilire o a formare l’armonia cosmica che spasmodicamente, ossessivamente, incessantemente, instancabilmente la vita cerca di realizzare in ogni punto dello spazio ed in ogni momento del tempo ad iniziare dal luogo e dall’ambiente in cui viviamo.
- Francesco ci insegna che una scintilla d’infinito è contenuta in tutto ed in tutti e dà senso ad ogni essere, ad ogni cosa, e dà senso e destinazione alla nostra esistenza. E ciò e vero, nel concreto dell’affermazione.
- Ci dice che, attraverso la strada della innocenza, della consapevolezza e della fedele sequela a Cristo redentore, è possibile dialogare con l’universo e con le cerature che lo abitano ed essere compresi e vivere e camminare e giocare e cantare e pregare consapevolmente insieme a loro.
- San Francesco d’Assisi ci sussurra liricamente che in ogni sasso, in ogni fiore, in ogni goccia di rugiada, in ogni sguardo, in ogni battito di ciglia, in ogni astro del cielo ed anche in sorella morte sono racchiusi sogni, appelli e promesse, segni identificativi del sentiero da seguire per tornare tutti insieme alla casa del Padre.
- San Francesco afferma che l’immaginazione dell’uomo innocente che il Signore gli ha donato esiste la più grande opportunità per esplorare e dialogare con il Creato, a prescindere dalla nostra istruzione ruolo e condizione sociale. L’immaginazione, trasposta nell’opera redentrice di Gesù Cristo, guidata dal suo amore, ponendoci alla sua sequela, potrà indicarci al di là di ogni umana convenienza, liberi da ogni nostra perversione, come per Francesco, la strada della comprensione e della fraternità per far ritorno nel giardino delle origini, dove vivremo per l’eternità nell’amore vero di Dio e diverremo anche noi simili agli Angeli.
Sia lodato Gesù Cristo.
Diacono Bruno martino